Testimonianza del pronipote Piercorrado Meano

Quella che segue è la testimonianza.del generale Piercorrado Meano,                       pronipote di Vittorio.                                                             

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Ho conosciuto Claudio Martino e Paolo Pedrini soltanto qualche mese dopo che era uscito il volume sul mio prozio. Quando – cioè – l’Associazione argentino-italiana Piemonte di Torino ha festeggiato la dichiarazione d’indipendenza dell'Argentina organizzando il convegno “9 luglio 1816, nascita della Repubblica”. In quell’occasione, gli autori erano stati invitati a illustrare le vicende che portarono alla realizzazione del Palazzo del Congresso di Buenos Aires e a ripercorrere la vita del suo architetto Vittorio Meano. Una fortuita circostanza rese possibile l’incontro: un amico aveva saputo della ricorrenza e – soprattutto – del tema affidato a Martino e Pedrini, estendendo anche a me l’invito a partecipare.
Cosa che feci assai volentieri, con un misto di orgoglio e curiosità.
Apprezzai molto la loro esposizione e non mancai di farglielo sapere. I due autori, che sembravano felici della mia “inaspettata” apparizione ma al tempo stesso un po’ in apprensione per aver di fronte un membro della famiglia, mi fecero dono di una copia della loro opera e mi esortarono ad intervenire alla prossima presentazione di “C’era un italiano in Argentina…” che si sarebbe tenuta da lì a poco proprio a Gravere, paese natìo di Vittorio e “culla” della nostra famiglia, per iniziativa dell’Amministrazione Comunale. Così, una volta lettolo, avrei potuto esprimere il mio giudizio.
Ho “divorato” il libro tutto d’un fiato. Velocemente e con interesse, tanto era interessante nella sostanza e scorrevole nella forma. Una lettura appassionante, al di là del coinvolgimento emozionale dettato dalla storia familiare. Per questo, nel mio intervento alla serata valsusina, volli dare pubblica testimonianza di ciò.
Tranquillizzai gli autori: non soltanto il testo non conteneva errori, ma le ricerche storiche da loro svolte avevano portato alla luce vicende, aspetti e particolari a me ignoti. Il fatto è che in casa, per i motivi ben spiegati da Martino e Pedrini, non si parlava molto dello zio. E quando il discorso cadeva su di lui, si esauriva dopo fugaci accenni. Il mio bisnonno Cesare, fratello di Vittorio, di diciassette anni più anziano, non aveva accettato di buon grado la sua “fuga” in Sudamerica e ancor meno aveva digerito la sua unione con Luigia Fraschini. Io stesso ricordo come mio nonno Corrado rammentava l’incontro con i due avvenuto a Cavoretto, nella villa di famiglia sulla collina torinese, in occasione dell’unica visita che fecero ai parenti: freddezza e disagio presero presto il sopravvento, mentre Luigia non smetteva di mettere ostentatamente in mostra fastidiosi atteggiamenti da gran dama, avvezza agli ambienti del bel mondo.
Comprensibile, quindi, che Cesare – andato a Buenos Aires per risolvere le questioni ereditarie legate alla morte del fratello – si sia disinteressato di tutto il resto, a cominciare dal rimpatrio delle spoglie: Vittorio era diventato un estraneo per i Meano e come tale venne trattato. Anche in seguito.
Ringrazio Claudio Martino e Paolo Pedrini per aver sollevato con “C’era un italiano in Argentina…” la polvere che ricopriva la figura di zio Vittorio. Operazione perfettamente riuscita, nella quale ho rinvenuto un solo neo: la mia famiglia non è originaria della frazione Meano di Perosa Argentina (Torino) come hanno incolpevolmente scritto, bensì – secondo le ricerche effettuate da nonno Corrado – proveniva dall'area di Lanslebourg, Comune ai piedi del Moncenisio sul versante francese quando ancora apparteneva al Ducato di Savoia, stabilendosi a Gravere nel XVI° secolo.

                                                                                   Piercorrado Meano