Genesi

«Ci siamo affacciati su Vittorio Meano in maniera affatto casuale, durante una ricerca eseguita per altri motivi al Museo dell’emigrazione di Frossasco (Torino), verosimilmente l’unica istituzione culturale italiana che serba traccia di lui, per quanto piuttosto stringata.                                                   Ciò è bastato perché rimanessimo letteralmente folgorati dalla scoperta, al punto di voler approfondire e ampliare le scarne notizie iniziali rinvenute. Al piccolo gioiello piemontese che coltiva storia e memoria di una patria spesso distratta, assieme a storie e memorie dei suoi tantissimi figli costretti a “fuggire”, va dunque tutta la nostra riconoscenza per averci fatto conoscere un grandioso architetto dall’enorme talento, che va ben al di là dei confini geografici tracciati nello spazio e di quelli metafisici disegnati dal tempo».                                                                                                     “C’era un italiano in argentina…”, Ringraziamenti, pag. 211

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La sede del Museo in piazza Donatori di Sangue 1, Frossasco

Le immagini e le citazioni contenute in questa pagina sono tratte dal volume “Museo dell’Emigrazione – Piemontesi nel Mondo” di Michele Colombino e Alessandra Maritano, pubblicato nel 2007 da Alzani Editore.

La riproduzione è stata espressamente autorizzata dal Presidente del Museo Giorgio d’Aleo.

Nella sala del Museo che ricorda alcuni figli del Piemonte protagonisti della lunga ondata migratoria, è esposto un pannello dedicato a Vittorio Meano.                              Questo il passo dell’opera di Colombino e Maritano che introduce la galleria di ritratti in mostra nella sala e riproposta nelle pagine successive del libro:                          «Parlare di piemontesi protagonisti vuol dire vuol dire parlare di storie di vita, di vissuti quotidiani miseri e difficili divenuti grandi, di tribolazioni ed umiliazioni divenuti benessere e successo.                                                                                              Vuol dire narrare di fatti e di vissuti di uomini, di donne e di famiglie che altrove, in una qualche altra terra hanno costruito il proprio futuro e con il loro lavoro hanno contribuito a sviluppare le economie dei Paesi dove si sono insediati.                      Storie di personaggi divenuti famosi, ma anche storie di piemontesi più anonimi. Il Museo dell’Emigrazione ha voluto dedicare a questi testimoni di piemontesità una intera sezione, in cui sono presentati solo alcuni profili di piemontesi, questo nell’impossibilità di poter dare adeguato spazio a un immenso panorama di uomini e donne (…)                                                                                                             Quadri con immagini e segni del percorso umano e professionale di piemontesi   che rivelano vicende che sembrano somigliarsi fra loro, pur nella sostanziale diversità (…)                                                                                                        Complessivamente, i personaggi portati alla memoria e o conoscenza attraverso una sequenza di pannelli collocati nella parte terminale del Museo al piano terreno, rappresentano la punta di un iceberg che annovera migliaia di storie, scelti senza alcuna pretesa di rappresentatività ma rinvenuti e raccontati per offrire un minimo spaccato di esperienze relative al fenomeno complesso dell’emigrazione italiana e di quella piemontese in particolare».

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Tutto ebbe inizio da qui

Come nasce “C’era un italiano in Argentina…”? Claudio Martino e Paolo Pedrini lo raccontano così nei loro incontri di presentazione del libro.

«Nella nostra attività di giornalisti, ci siamo imbattuti in Vittorio Meano, personaggio tanto sconosciuto (in Italia) quanto dimenticato (in Argentina), in maniera del tutto fortuita durante una ricerca che stavamo svolgendo, per altri motivi, al Museo dell'emigrazione di Frossasco. Ci colpì uno dei pannelli esposti nell’ultima sala: era dedicato a un piemontese nato nel 1860 a Gravere, vissuto a Susa, Pinerolo e Torino, emigrato giovane in Sudamerica, autore – prima di essere ucciso a soli 44 anni – del Teatro Colón e del Palazzo del Congresso a Buenos Aires nonché a Montevideo, capitale dell’Uruguay, del Palazzo legislativo.  

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Dell’architetto nulla sapevamo, ma i tre monumenti ci erano ben noti. Il Colon è uno dei più bei teatri lirici del mondo, è stato il più grande sino alla costruzione dell’Opera House di Sidney avvenuta nel 1973 (contiene 4mila spettatori, la Scala – per fare un paragone a noi vicino – 2200) ed è tutt’ora universalmente riconosciuto come il teatro con la migliore acustica del mondo. A questo proposito Luciano Pavarotti ebbe a dire: “Il teatro ha un grandissimo difetto, la sua acustica e le sonorità sono semplicemente perfette. Sapete cosa significa questo per un cantante d’opera? Che qualsiasi errore, per piccolo che sia, sarà subito percepito”. Il Congresso, sede del parlamento argentino, è il Tempio del sentimento popolare, è l’emblema dell’Argentina ed è il simbolo più maestoso di Buenos Aires. Il Palazzo legislativo di Montevideo, anch’esso “casa” di deputati e senatori, è a sua volta monumento nazionale e simbolo dell’Uruguay.                                                                             Visto che da noi Vittorio Meano era un perfetto “signor nessuno”, abbiamo voluto scriverne la storia.                                                                                                         Stante le premesse, all’inizio del nostro compito, pensavamo di trovare montagne di materiale che parlavano di lui. E invece, con grande sorpresa e a onta della notorietà delle sue opere, ci siamo resi subito conto di avere a che fare con un “fantasma”. Se è comprensibile che in Italia nessuno lo conoscesse dato che emigrò senza aver lasciato dietro di sé niente che lo potesse ricordare, molto più strano è che anche in Argentina siano pochissimi a sapere chi sia nonostante fosse l’artefice di un pezzetto della storia di quel Paese. Questo non ha fatto altro che aumentare la nostra curiosità e la voglia di saperne di più.                                                                           Capirete che in una situazione del genere sia stato difficilissimo trovare la documentazione. Le ricerche che abbiamo faticosamente svolto non sarebbero mai decollate senza le piste aperte da Giorgio Jannon in Italia, con le pagine del libro “Il sogno nella valigia” (Alzani 1993) incentrate su Meano, e da Rita Molinos e Mario Sabugo in Argentina, con il volume "Vittorio Meano: la vida, la obra, la fama" (Nobuko 2007), studiosi ai quali riconosciamo il fondamentale merito di averci instradato nel lavoro e – soprattutto – di aver evitato che si perdessero irrimediabilmente le tracce non ancora dissolte del passaggio dello straordinario architetto.                                                                                                                       Il lavoro ci ha impegnato per quasi due anni ma alla fine, con molta fatica e pazienza, siamo riusciti a far quadrare tutti i tasselli rintracciati e a ricostruire il puzzle delle vicende umane e professionali di Meano facendo emergere un quadro davvero stuzzicante.                                                                                                                   È una storia di immigrazione, lavoro e talento; di amore, tradimento e gelosia; di intrighi, corruzione e tangenti».